lunedì 22 ottobre 2007

Ukyo Katayama



Oggi vorrei semplicemente citare le parole di un uomo straordinario. Anzi, probabilmente di un uomo normale, come tanti, la cui straordinarietà sta nel non essersi mai fermato o arreso di fronte a nulla per inseguire i propri sogni e i propri obiettivi. Non ha fatto cose comuni, ma forse per qualcuno nemmeno eccezionali: ma non è importante cosa ha fatto nella sua vita, per questo è inutile che stia a raccontarvelo. E' il modo in cui ha deciso di vivere quest'unica vita che ci viene regalata che lo rende, ai miei occhi, un grande uomo.


"Sembra quasi che diventando adulti il nostro bagaglio di scuse sia già bell'e pronto. Ecco che cominciamo a dire:non ho soldi, mi mancano le spinte giuste, sto invecchiando... E poi ci sono le paure: e se mi licenziano? Se divento povero allimprovviso? Cose del genere. Il denaro è diventato misura di tutte le cose e questo ci ha tolto il gusto di inseguire i sogni che ci portiamo dietro fin dall'infanzia. Io continuerò per la mia strada, anche perchè voglio insegnare all'uomo a non rinunciare mai alla parte più bella di se stesso." (U.K.)

mercoledì 10 ottobre 2007

I'm a believer, not just a dreamer



Vado in Germania per una settimana, non ho molta voglia. C'è un grande artista che in una sua canzone dice :"I'm a believer, not just a dreamer." Anch'io. Ci credo, sono d'accordo con lui. Io non so solo sognare (cosa che faccio peraltro egregiamente, in quantità, ad occhi aperti), ma so anche credere. Credo fortemente, credo fermamente in ogni cosa che faccio e che decido di portare avanti, e credo nella realtà di ogni mio sogno o desiderio. Credo, credo, credo. E se non sarò io a realizzarli, si realizzeranno da soli. Succederà. Perchè io ci credo.

Perchè sono un infantile, sono maturo in tutto quello che non serve, e felicemente immaturo in tutto quello che mi interessa. Non so se è una maledizione o una benedizione, ma sono così, che posso farci. Mi nutro di sensazioni che volano e mi raggiungono, sono l'apoteosi dell'esilio dal mondo, mi creo una realtà che ignora chi mi sta intorno, e ritorno in carreggiata a sberloni e pizzicotti, spesso autoinflitti. Perchè?

Perchè no.

giovedì 4 ottobre 2007

L'impossibile



E' una delle parole più usate, più inflazionate, e forse più amate della lingua italiana. Ma che significa davvero? La usiamo spessissimo. Ma perchè ci crediamo davvero, o solo per fare del sensazionalismo? L'ho sentita usare nei più svariati contesti: non succederà mai, è impossibile...stai facendo una cosa impossibile (ma se la sto facendo...)....non ci riesco, è impossibile....l'ho sentita usare perfino per i sentimenti:questa storia è impossibile...anche la pubblicità ne fa sfoggio, come limite valicabile...impossible is nothing.

Un dizionario della lingua italiana definisce così il termine:tutto ciò che non si può realizzare o conseguire in quanto contrasta con le possibilità reali o supera i limiti delle umane capacità.

E' un inizio. E mi fa domandare: quante volte usiamo il termine nella sua accezione corretta? Io credo pochissime. In realtà nella stragrande maggioranza dei casi sarebbe corretto dire "é altamente improbabile". Ma così non fa scena. Soprattutto, così non si ha un alibi. Perchè l'impossibile non dipende da noi, ne subiamo la forza. L'improbabile lascia uno spiraglio in cui devi lottare se vuoi farcela. Ma è difficile. Ma non è comodo. Impossibile è una parola splendida inventata per salvare un sacco di persone e fare i fighi. Per scaricare tutto al mondo e chiamarsi fuori da tutto ciò che non è facile. Lasciar perdere è un imperativo di oggi, tutto deve arrivarci addosso, e lottare per qualcosa non è più motivo d'orogoglio, ma solo fatica, perchè tante cose arrivano comunque da sole.

Ma rinunciare a qualcosa in cui si crede, qualcosa che si vuole veramente, questa è la vera infamia, molto più che la sconfitta. Qualcuno prima di me disse che chi perde, almeno ci ha provato. Chi non ci prova non perderà mai, certo, ma si perde un sacco di cose belle, un sacco di momenti che fanno sentire vivi e veri.

Ma credere in qualcosa significa non rassegnarsi mai, significa stringere i denti per raggiungere un obiettivo, e dare se stessi fino in fondo per arivarci. Chinare la testa e dire "é impossibile" è un modo molto chic per chiamarsi fuori dalla lotta. Ma nel mondo del vincere come imperativo supremo, non è il risultato che determina l'uomo, ma in modo in cui ha provato ad arrivarci. E questo sarebbe da tenere a mente.